L’arte astratta. Un linguaggio autonomo
Già col Cubismo, “matura la coscienza della pittura come disciplina autonoma fondata su un linguaggio specifico, che ha in se stesso le regole del proprio funzionamento” (Filiberto Menna, La linea analitica dell’arte moderna).
L’arte moderna, in particolare quella astratta, è un linguaggio autonomo, con una propria grammatica e con regole di sintassi. Attraverso queste l’artista articola gli elementi pittorici come se fossero i vocaboli di una vera lingua. Questi elementi in pittura sono: le linee, le forme e i colori. L’artista è colui che, con gusto creativo, li organizza e li dispone sulla superficie piatta della tela.
In epoca moderna, inoltre, sorge la necessità di fare tabula rasa di tutta l’arte precedente, di ripartire da zero, di fondare un nuovo linguaggio pittorico le cui leggi e regole vengono stabilite di volta in volta da ogni singolo artista. Si inventano nuove grammatiche e nuovi lessici, quelli che ogni artista e ogni corrente ritengono più idonei al loro scopo: nascono così la pittura segnica, informale, astratta, fino ad arrivare al Concettualismo. L’arte diventa un linguaggio che possiede un carattere sempre più personale e soggettivo.
La pittura cessa di essere illusione, non costituisce più un inganno per il nostro occhio.
Il cordone ombelicale che legava l’arte antica al mondo reale, attraverso la rappresentazione, viene reciso. L’arte astratta è molto simile alla musica pura; non possiede il proprio referente nel mondo reale, non ha come scopo la riproduzione mimetica della realtà. Costituisce una realtà autonoma, distinta dal mondo visibile, non dipendente da un soggetto.
L’errore di base, ogni volta che ci sforziamo di capire un’opera astratta, è quello di ricercare nell’arte non-figurativa delle forme che abbiano, anche se lontanamente, qualche analogia o parentela con quelle del mondo reale. L’arte astratta, invece, non ha alcuna relazione col mondo in cui viviamo, fatto di persone, animali, oggetti, cose. Va quindi apprezzata per quello che riesce a dirci attraverso i suoi colori festosi, per le sue forme e per le sue linee, così voluttuose ed eleganti, anche per le sue geometrie. Essa non è diretta all’intelletto, bensì ai sensi.
Il modo migliore per godere della bellezza di un’opera astratta è disporsi di fronte questa come quando si ascolta un brano musicale. Si ascolta la musica per il piacere di ascoltarla, per godere del piacere che in noi suscita. Perché dunque arrovellarsi per capire qual è il senso, il significato di un quadro astratto, quando forse l’autore voleva solo comunicarci la propria gioia attraverso i colori della sua pittura?
Arte astratta e musica hanno in comune, perciò, di essere due realtà completamente autonome, distinte da ciò che possiamo vedere e toccare. Quando Magritte dipinge una pipa e sotto di essa scrive “questa non è una pipa”, non fa che altro che sottolineare, con questa affermazione, la netta distinzione che esiste tra mondo naturale e mondo pittorico.
Ma qual è il motore, ciò che spinge l’artista nel ‘900 a cercare, dentro nuove forme espressive, un’alternativa a tutta l’arte mimetica e figurativa?
Innanzitutto la scoperta della fotografia. Con l’arte moderna, grazie all’avvento della fotografia, il compito di riprodurre fedelmente la realtà viene demandato al fotografo. Il fotografo finisce (e questo vale non solo per la ritrattistica) per sostituire il pittore. Che senso ha che l’artista ritragga la realtà quando esiste un mezzo, quello della fotografia, in grado di riprodurre, in maniera estremamente fedele e oggettiva, il mondo che appare sotto i nostri occhi?
Per questo motivo l’interesse dell’artista si sposta, da questo momento in poi, verso una ricerca il cui oggetto non è più la rappresentazione: l’artista si concentra sul proprio mondo interiore, l’arte diventa l’espressione della propria soggettività.
Francesco 24-2-2020