Ebe e Canova
Ebe (in greco antico: Ἥβη) nella mitologia greca è la divinità della giovinezza, figlia di Zeus e di Era. La sua figura appare più volte nei poemi omerici e viene citata anche da Esiodo. Sul monte Olimpo Ebe era l’enofora, ovvero l’ancella delle divinità, a cui serviva nettare e ambrosia (nell’Iliade, libro IV). Il suo successore fu il giovane principe troiano Ganimede (rapito sull’Olimpo da Zeus mutato in aquila). Nel libro V dell’Iliade è anche colei che immerge il fratello Ares nell’acqua, dopo la battaglia con Diomede. Nell’Odissea (libro XI) è la sposa di Eracle (anche se l’autenticità del brano non è certa). Euripide comunque la cita nelle Eraclidi.
Nell’Iliade la sua ascendenza è citata tre volte: serve agli Dèi da coppiera, versando loro l’ambrosia e il nettare; cura le ferite che Diomede ha inflitto a suo fratello Ares; aiuta Era ad agganciare il suo carro. Il primo ruolo di coppiera non sembra essere la sua attività principale: è menzionato solo una volta, e anche Efesto viene riferito a questo ufficio. Iris (Iride) è più frequentemente associata a questo ruolo, sia nei testi sia nell’iconografia, prima di essere sostituita da Ganimede. Considerando che l’eterna giovinezza è una delle caratteristiche degli Dèi dell’Olimpo è difficile valutare esattamente il suo ruolo. Forse in un periodo arcaico del mito la sua presenza era necessaria per conferire agli dèi la loro perenne giovinezza.
Nell’arte greca, Ebe è la maggior parte delle volte rappresentata in compagnia di Eracle. Un ariballo (piccolo vaso sferico) di Corinto e qualche vaso attico, dalle figure nere o rosse, dipingono anche le sue nozze sull’Olimpo. Appare ugualmente come coppiera di Zeus o di Era su dei vasi attici dalle figure rosse, ma senza che la sua identificazione sia certa. Inoltre, è spesso dipinta come compagna della dea Afrodite. La si vede spesso come una dolce e giovane ragazza.
Della statua di Ebe esistono ben quattro versioni autografe di Canova, oltre all’originale modello in gesso. La prima fu eseguita nel 1796 su commissione del conte Giuseppe Giacomo Albrizzi e venne inviata a Venezia poco prima della fine dell’anno 1799; successivamente venne ceduta al collezionista veneziano Giuseppe Vivante Albrizzi, il quale la vendette nel 1830 al re di Prussia Federico Guglielmo III (1797-1840). Oggi si trova presso l’Alte Nationalgalerie a Berlino.
La seconda versione dell’Ebe, invece, fu scolpita su richiesta di Giuseppina Beauharnais, prima moglie di Napoleone; esposta nel Salon di Parigi nel 1808, l’opera entrò a far parte delle collezioni imperiali russe nel 1815 (per volere dello zar Alessandro I),ed oggi è esposta al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo.
Ambedue le versioni destarono aspre critiche. A non piacere erano l’impiego del bronzo per la coppa e di una patina rosata applicata per conferire verosimiglianza all’incarnato dell’Ebe, la presenza di una nuvola ai suoi piedi (motivo desunto dal repertorio figurativo barocco del XVII secolo e pertanto sentitamente disprezzato) e la mancanza di espressione nel suo volto.
Canova eseguì altre due versioni dell’Ebe: una fu scolpita nel 1814 e destinata a Lord Cawdor (oggi si trova a Chatsworth, nel Regno Unito), mentre l’altra fu eseguita nel 1817 su commissione della contessa Veronica Zauli Naldi Guarini, la quale intendeva rendere più sontuosa la propria abitazione a Forlì. Oggi è esposta all’interno della Pinacoteca Civica situata presso i Musei di San Domenico della città romagnola. In queste ultime due versioni Ebe non è più sostenuta da una nuvola, bensì si appoggia a un tronco d’albero, in seguito alle virulente critiche delle quali abbiamo già parlato. Il modello in gesso, donato da Canova al discepolo Pompeo Marchesi, è oggi esposto alla Galleria d’arte moderna di Milano (primo piano).
Ebe è raffigurata mentre incede con passo lieve, quasi da danzatrice, immersa in un atteggiamento riverente e silenzioso. Sospesa su una nuvola, la dea presenta una ricercata acconciatura raccolta in un diadema e mossa da un soffio di vento; il suo busto è nudo, mentre la parte inferiore del corpo è ammantata in un drappo che, con le sue pieghe fitte e complesse, ne esalta il corpo flessuoso. Ricalcando la composizione di diverse statue ellenistiche, Canova decise di far reggere alla giovane dea un’anfora e una coppa di bronzo, materiale di cui è fatto anche il nastro dei capelli: come già accennato, dopo il completamento dell’opera furono in molti a criticare l’ardita presenza del bronzo, giudicandola un affronto all’idea di purezza, associata all’uso del solo marmo.
P.S.: Ebe, simbolo dell’eterna giovinezza, coppiera degli Dei, è risorta dalle ceneri. O, più correttamente, dai frammenti che, all’indomani del bombardamento alleato su Bassano del Grappa (VI) del 24 aprile 1945, vennero raccolti come reliquie, reliquie di un gesso tra i più belli e affascinanti tra quelli realizzati dal celebre scultore di Possagno (TV). Questi frammenti sono rimasti nei depositi dei Musei Civici per più di 70 anni, abbandonati all’oblio perché la loro ricomposizione è stata a lungo ritenuta impossibile. Poi, la messa a punto di nuove tecnologie applicate al restauro ha permesso alla mitica Ebe di Bassano del Grappa di ritrovare la sua forma e la sua grazia. A ridarle vita ha provveduto un innovativo intervento conservativo, a cui ha contribuito anche il Comune e i Musei San Domenico di Forlì, proprietario della versione marmorea di Ebe, cui il gesso bassanese è collegato. La mostra allestita, che, oltre alla collaborazione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, vede il contributo di autorevoli studiosi e dei curatori dei musei che conservano le molteplici versioni della popolare opera canoviana, intende così celebrare la restituzione di questa importante testimonianza artistica alla pubblica fruizione, in occasione del Bicentenario della scomparsa dell’artista veneto (1822-2022).
LUN 17/1/22
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